L’Associazione Nazionale Artigiani Piccoli Imprenditori (in sigla AssoAPI), ha dedicato un bell’articolo alla filosofia dei nostri locali tramite un’intervista a tu per tu con il nostro patron Gabriele Urbinati, che riportiamo di seguito.
La visione di Gabriele Urbinati è chiara: “semplice ma perfetto”. Non sempre ci si riesce, ma guardando i ristoranti creati con la sua azienda – Kalamaro Group – l’obiettivo sembra raggiunto. Kalamaro Group è la realtà da cui sono nati i punti vendita del Kalamaro Piadinaro e il suo fiore all’occhiello, il primo ristorante creato – il Kalamaro Fritto Osteria. Mangiando in questi posti, si coglie subito il significato che il termine “perfezione” ha per l’imprenditore romagnolo. Ambiente caldo e curato, senza sbavature. Cuochi e camerieri accoglienti e impeccabili, nei gesti e nel look. Piatti studiati, preparati e pensati con cura. La ricetta che sta dietro a questo successo ha bisogno di un ingrediente speciale: un team che si senta parte del progetto. “Kalamaro Group è la somma delle sue risorse: un’azienda che si è strutturata e si identifica sulla forza umana che la compone”, si legge sul sito dell’azienda e Urbinati ce lo conferma. “In una scala da zero a 10 di perfezione, l’entusiasmo e la preparazione di chi lavora con noi copre fino a 5, il resto lo deve fare l’azienda” che prepara, mescola e restituisce al cliente un unico messaggio attraverso i suoi piatti, i suoi locali e il suo personale: la perfezione, appunto. Ecco perché, per lavorare per Kalamaro Group non bisogna solo diventare un cuoco o un cameriere, ma bisogna sentirsi parte di un progetto più grande.
Gabriele Urbinati, lei ha iniziato la sua avventura imprenditoriale nel mondo dell’ospitalità: qual è stata la cosa più importante che ha imparato in quel periodo della sua vita?
Sembra assurdo dirlo, ma ad insegnarmi di più sono state le cose negative, ho sbagliato anche tanto nel mio passato professionale. L’aspetto più critico del mondo dell’ospitalità è creare un buon gruppo di lavoro. Poi c’è la gestione, ci sono tanti aspetti di cui occuparsi e non è facile stare dietro a tutto. Io sono imprenditore di me stesso da quando avevo 20 anni, un avventuriero, sentivo di avere qualcosa da dare al mondo esterno, una visione da comunicare e ho cercato di farlo in questo settore d’impresa.
Da dove nasce l’idea alla base di Kalamaro Group, un’azienda che lavora con piadine, ristorazione tradizionale e gelato?
Non venendo dal mondo della ristorazione, me lo immaginavo in modo diverso. Il bar e la gelateria, con cui ho cominciato, era un settore molto diverso. Quindi ho immaginato una ristorazione un po’ mia, semplice. La mia ristorazione ruba spunti a quella americana e a quella tradizionale, per trasmettere un’offerta trasversale, che parli a tutti.
A chi si ispira per i suoi locali?
Ho sempre cercato di prendere spunto da i migliori: penso a Stefano Bartolini di Cesenatico, ristoratore e creatore del brand Gran Fritto. Mi piaceva, sono partito da lì e l’ho modificato. Non volevo competere con locali prestigiosi e d’esperienza.
Che chef vorrebbe nella sua cucina?
Sono abituato a decidere cosa fare in casa mia: i menu ad esempio li decido io. Tutto quello che concerne la qualità, il prodotto, lo scelgo io, di concerto con i miei collaboratori. Per questo non potrei mai collaborare con un grandissimo chef, spalla a spalla, preferisco collaborazioni temporanee come quelle con Davide Oldani, per provare, sbagliare e ricominciare. Ora ad esempio stiamo lavorando con Vincenzo Cammerucci.
Materie prime: quanto conta oggi sceglierle bene?
Sono importantissime per battezzare delle aziende di qualità in modo continuativo. La ristorazione non è più improvvisata: il cliente quando viene a pranzare da noi, trova sempre lo stesso prodotto, certificato dalla scelta dell’azienda. Usare sempre gli stessi prodotti di qualità, evitando di cambiarli, ci dà forza.
Nei suoi ristorante tra i fattori che colpiscono il cliente c’è la cura del servizio di sala: che caratteristiche deve avere secondo lei un buon cameriere (se si può ancora chiamare così)?
Deve trasmettere positività. Non è facile, col personale non lo è mai. Noi siamo molto attenti perché facciamo continuamente corsi interni, ci parliamo spesso. Quando vediamo che ci sono dei problemi, cerchiamo di risolverli prima che succedano cose strane. La sensibilità particolare che il personale mette nei punti di ristoro del Kalamaro, anche alla proposta che fanno al cliente quando è a tavola, va poi a incidere sul fatturato. Chi lavora con noi non è un numero, ma una persona. Alla fine del mese viene valutata la sua performance, quanto ha venduto e si stimolano le persone a fare di più, a vendere ciò che dà più margine. L’entusiasmo di una persona sul risultato In una scala da zero a 10 di perfezione, l’entusiasmo e la preparazione di chi lavora con noi copre fino a 5, il resto lo deve fare l’azienda.
Tutto il suo personale ha una tenuta unica, fatta da capi di marca come le famose calzature Birkenstock: perché ha voluto investire in questi dettagli?
Abbiamo unificato tutte le divise di tutti gli esercizi del Kalamaro Group perché, se a tutte le persone descrivo la divisa, se dico che bisogna indossare un pantalone nero, c’è quello a cui sarà di un nero più scuro, quello a cui sarà più chiaro. Diventerebbe un carnevale, come succede nei ristoranti classici. È stato difficile convincere i ragazzi a mettere le Birkenstock. Oggi però se gliele togli, protestano. La cosa fondamentale è che in azienda usino le scarpe da lavoro e la divisa che forniamo noi, e che la usino solo nei nostri ristoranti.
Parliamo delle cucine: cosa cerca il Kalamaro group in uno chef?
Deve sapere che entra in una cucina “semplice” perché anche i piatti più elaborati noi li rendiamo semplici. Non deve sbagliare niente. Abbiamo un controllo fatto dal responsabile di cucina, che è molto ferreo. Gli errori non sono ammessi: se si sbaglia, il piatto non deve uscire. Non castighiamo nessuno, ma ci teniamo a che tutto sia perfetto.
Quali pensa saranno le prossime tendenze nel mondo del food?
Il mondo della ristorazione in questo momento non sta vivendo un buon momento, secondo me, vedo tante cose simili. A Roma si punta più sul trend: locali belli, ma molto simili, dove la proposta interna si rassomiglia fra un ristorante e l’altro. Potrebbe esserci un ritorno alla cucina tradizionale in ambiente alla moda, che magari ripropone le cose che si facevano nelle osterie. Sono convinto che fra 5 anni non ci sarà un gran cambiamento. Lo street food sta andando molto bene invece, anche se c’è già una flessione.
E cosa c’è nel futuro del Kalamaro Group?
Stiamo lavorando a un nuovo progetto, abbiamo aperto un prototipo a piazza Campo de’ fiori a Roma, che si avvarrà di chef importanti per proporre una “piada rivisitata”.
Che consiglio dà a chi vuole iniziare un percorso di formazione nel mondo del food?
Innanzitutto di entrare a far parte di un gruppo, tipo il nostro, che possa collaborare con un pazzo come me, che si inventa sempre qualcosa di nuovo! Poi consiglio di sacrificarsi, capire e rubare a chi è capace, sia le idee e che l’esperienza. E poi magari andare a lavorare con personaggi importanti: ho imparato a fare il barman assumendo un famoso bartender. Il mestiere lo impari solo se collabori con qualcuno che ha qualcosa di insegnarti.
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